L’iniziativa si fonda sull’esigenza, sempre più forte, di difendere la memoria dei fatti di allora e la lezione tratta affinché la memoria non resti solo un monile da spolverare in occasione del 25 aprile o del 27 gennaio. Fra le testimonianze dei ragazzi e delle ragazze, che tutti gli anni raccogliamo al nostro ritorno, è ricorrente l’espressione “dopo aver visitato Auschwitz con il Treno della Memoria nulla è più come prima”. Per questo il Treno della Memoria è anche definito un pellegrinaggio laico. Negli anni il Treno della Memoria ha ricevuto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, il patrocinio della Camera e del Senato e del Parlamento Europeo. Collabora stabilmente con il Museo statale di Auschwitz-Birkenau, con il Museo di Oskar Schindler, con gli Istituti italiani di cultura e con diverse università italiane e straniere. Un viaggio fisico e mentale nel quale i giovani studenti, accompagnati dagli educatori e dagli insegnanti accompagnatori, hanno visitato dapprima Budapest con il Museo dell’Olocausto e il ponte delle scarpe, un momento davvero toccante nel quale l’immedesimazione da parte degli studenti in quelle persone trucidate il riva al Danubio ha davvero raggiunto momenti di commozione impensabili, anche grazie al lavoro portato avanti dalla Compagnia di attori che hanno seguito i giovani in tutti il percorso, facendoli davvero “entrare nella storia e respirarne l’aria”. Dopo Budapest la tappa successiva è stata Cracovia dove sono stati visitati il Ghetto Ebraico e la Fabbrica di Schindler, trasformata in un museo, entrando nei luoghi posti in cui è stata ambientato il film “La lista di Schindler”. Un lento e crescente percorso di avvicinamento ai luoghi del dolore e della morte, laddove la malvagità umana ha raggiunto livelli inimmaginabili e che, purtroppo, non è stato l’unico caso di quello che Hannah Arendt definì la “Banalità del male”, ma che invece, fu il risultato di una operazione ben pianificata e supportata dal punto di vista della propaganda a tal punto da apparire “normale”. Un lento percorso di spersonalizzazione degli individui, fino a privarli della loro umanità per condurli “alla soluzione finale”, questo furono i ghetti e i successivi campi di sterminio. Auschwitz con le sue camere a gas sopravvissute al tentativo dei nazisti di cancellare la memoria, mentre la memoria resta ben forte in quell’odore acre ancora oggi riconoscibile, resta in quelle ciocche di capelli brutalmente tagliate alle donne con tutte le loro acconciature e resta in quelle piccole scarpette e indumenti di quei bambini che non diventarono mai grandi. Quindi è stata la volta di Birkenau, tetro, reale, fino troppo reale, laddove anche le piante sembrano voler testimoniare la morte, e poi il freddo, “nulla – si è affrettato a precisare la nostra guida – rispetto a quello che provarono gli ebrei in quegli anni in cui il clima era molto più rigido”. E pensare che noi ben attrezzati contro il freddo abbiamo patito non poco quelle temperature. E concludiamo questo contributo con quello che ha detto Alessia Grassi, una delle nostre studentesse partecipanti, in occasione dell’Assemblea conclusiva: “forse io sono una delle ragazze più giovani che partecipano al treno della memoria, infatti ho solo sedici anni e faccio il terzo superiore e magari ci sono ragazzi di quarto o di quinto e anche docenti, persone più, diciamo, mature; però questa esperienza… di questa esperienza non dimenticherò mai quello che ho visto perché io, personalmente, sebbene io sia una persona forte emotivamente durante la visita nei campi non ho detto una singola parola perché descrivere… era impossibile descrivere con anche un pensiero, infatti non ho nemmeno pensato a quel che…non ho nemmeno pensato perché anche magari anche un pensiero o una parola sarebbe stata fuori luogo perché c’era solamente da ascoltare quello che è stato e sentire, diciamo – tra virgolette – “l’odore di morte” che c’era nei campi e l’odore del gas che era ancora presente nelle cam…nelle camere. Poi appena sono…siamo arrivati a Birkenau ho immaginato il treno – perché ho visto il vagone – e ho immaginato il treno che si fermava e tutte le persone che scendevano dal…dai vagoni che venivano divi…e che venivano divise e come ci diceva la guida che chi andava nei forni crematori uno e due e mentre invece chi andava da una parte si salvava è stato… sentirlo è stato molto devastante per me. E poi una cosa che è stata, diciamo, il culmine è quando siamo andati a Budapest che…al monumento delle scarpe dove passeggiando sulla riva del Danubio, dopo il discorso che ci aveva fatto la ragazza del treno della memoria, ho visto una scarpa che era identica alla mia. E lì… ho pensato che avrei potuto esserci io, e… ho pregato per chi ha perso la vita in questo tentativo disperato di salvarsi”. La speranza è che la storia diventi davvero maestra di vita anche se, purtroppo, fatti recenti e non sembrerebbero dirci proprio il contrario.